EventiLe iniziative e i seminari promossi dallo IAL ma anche da organizzazioni sindacali, enti di ricerca, istituzioni e fondi interprofessionali

Sessant’ anni di IAL. La sfida dell’innovazione e gli obiettivi futuri

 

I giorni 20 e 21 ottobre 2015, a Roma, presso l’Hotel NH “Villa Carpegna”, lo IAL Nazionale ha organizzato una iniziativa di celebrazione del proprio Sessantennale in concomitanza con l’avvio del percorso della Conferenza Programmatica ed Organizzativa della CISL.

 

Lo Ial ha celebrato i propri 60 anni in un Convegno di due giorni nel quale sono stati affrontati e approfonditi temi riguardanti le riflessioni e le proposte sul futuro dello IAL e le sfide che lo attendono. In questa sede sono stati presentati inoltre gli esiti della ricerca promossa da IAL Nazionale in collaborazione con FIM Piemonte, Istituto Boella e realizzata da Torino Nord Ovest srl impresa sociale, sul tema: “Factory of the future- Tecnologia, competenze e fattore umano nella fabbrica digitale". I risultati della ricerca sono stati ampiamente analizzati da autorevoli esperti, interlocutori istituzionali, del mondo sindacale e dell’impresa.

In entrambi i giorni di Convegno i Dibattiti affrontati si sono misurati costantemente con la complessità dei temi posti all’approfondimento nella Conferenza Programmatica ed Organizzativa della CISL, al fine di offrire alla Confederazione un proprio contributo specifico.

 

 

Approfondimenti

Focus sul dibattito

La Rassegna Stampa

Il Programma dell'evento

 

Focus sul dibattito

 

Roma 20 ottobre. C’è la voglia di guardare al futuro, di rilanciare con orgoglio la propria mission nelle parole con cui l’Amministratore Unico dello IAL Nazionale, Graziano Trerè, arrivato in IAL nel 2003 - probabilmente nella fase più drammatica per l’Ente -, ha avviato la riflessione interna che ha caratterizzato la prima giornata di lavori del Sessantennale dello IAL, celebrazione che avviene in concomitanza con il percorso della Conferenza Nazionale Organizzativa della Cisl.
A distanza di sessant’anni dalla fondazione dell’Istituto Addestramento Lavoratori - oggi Innovazione Apprendimento Lavoro -, l’intuizione di Pastore che nel 1955 volle lo IAL quale “strumento eccezionale di tutela sociale, impegnato nella crescita professionale e culturale dei lavoratori” sembra ritrovare una nuova spinta propulsiva.
Dopo una lunga e difficile fase di risanamento economico e finanziario, oggi lo IAL Innovazione Apprendimento Lavoro è - come sottolinea con fierezza Trerè - la più grande rete italiana di imprese sociali operanti nel campo della formazione professionale e continua, costituita dalla Società nazionale, da 14 Società regionali partecipate al 10 % dallo IAL Nazionale, fatta eccezione per Piemonte e Veneto controllate al 100% e, infine, dallo storico centro di ricerche e studi CESOS, partecipato dal Nazionale al 60%.  Una rete ancora più solida grazie all’apertura di una sede operativa di IAL Nazionale accreditata nella Provincia Autonoma di Trento e all’acquisizione della maggioranza assoluta del capitale sociale di ANAPIA Veneto srl impresa sociale, specializzata nella formazione in agricoltura.
Arrivata dopo una pesante stagione di risanamento e di cambiamenti, la trasformazione di tutta la rete IAL in società di capitali, avviata nel 2007 con l’approvazione all’unanimità del “Progetto di riorganizzazione e riqualificazione del sistema IAL – CISL” da parte del Comitato Esecutivo Confederale, ha voluto tracciare un percorso nuovo, sancito da una netta scissione tra rappresentanza politica e gestionale. L’obiettivo è stato quello di modificare la configurazione dello IAL sotto il profilo giuridico, gestionale e di governance, senza rinunciare alla mission fondativa e all’appartenenza alla CISL, ma su standard più evoluti di reciproca garanzia e di responsabilità definite, come normato dal codice civile in particolare sotto il profilo delle responsabilità del management  e dei soci (le USR, le UST, le Federazioni regionali e lo IAL Nazionale per gli IAL regionali; CISL Nazionale, 7 USR e 5 FNC per la società nazionale).
Oggi, a fronte degli sforzi compiuti, lo IAL è una realtà solida, credibile, capace di misurarsi su un mercato dove però sono le competenze professionali, la qualità della proposta formativa e la competitività a fare la differenza. La scommessa – sostiene Trerè -  è quella dell’Innovazione declinata sia sul fronte organizzativo, sia sul piano delle competenze, sia ancora sul fronte dei processi e dei prodotti formativi. Ciò significa per lo IAL avere un contratto di lavoro che consenta di essere più concorrenziali: in tal senso lo IAL ha identificato un proprio contratto di gruppo che, come da protocollo siglato con la Fisascat Cisl, prende a riferimento il settore terziario. Ma significa anche capacità di dialogo con il mondo delle imprese in un rapporto che è cresciuto notevolmente già in questi anni, portando ad importanti partnership con soggetti del mondo istituzionale, universitario e delle imprese. Significa inoltre rafforzare la propria azione nel sistema della bilateralità con una proposta sempre più qualificata e competitiva. L’obiettivo è oggi per lo IAL quello di consolidare il proprio ruolo nel mondo del lavoro e della formazione e ciò può e deve essere fatto con una logica imprenditoriale, ferme restando le finalità sociali, facendo dell’autonomia - nella Cisl - il tratto distintivo della propria azione in quella che si annuncia essere una stagione esaltante e r-innovatrice, seppur ancora una volta non priva di sfide e criticità.
Intraprendere questo cammino vorrà dire per lo IAL avere un proprio “punto di vista”, come sostenuto nel contributo alla riflessione organizzativa della Cisl curato dal Comitato tecnico scientifico dello IAL Nazionale.  “Questo punto di vista - spiega il prof Michele Colasanto, coordinatore del CTS - non può essere neutrale rispetto a quello della Cisl, ma deve avere il tratto distintivo dell’autonomia”. Lo IAL oggi “è tanto un osservatorio privilegiato quanto un ‘gateway’, un varco sulla società, filtrato dalla sensibilità di chi è impegnato nella formazione ed è attento alla persona e alla concretezza delle relazioni produttive”. Ciò sarà ancor più vero se lo IAL aumenterà la propria capacità di sviluppo e di ricerca, in una prospettiva di contiguità territoriale e di dialettica con le imprese locali, i lavoratori e le famiglie. Lo IAL - aggiunge il professore - “è e vuole essere parte di un’offerta integrata di servizi agli iscritti e ai cittadini tutti”. Il suo contributo dovrà essere però in grado di svilupparsi in diversi campi elettivi: la formazione continua e permanente, intesa anche come capacità di interconnettere imprese e territori; la “Industria 4.0”, che non è solo sinonimo di “smart city”, in cui sarà prioritario il principio della cura (cura della persona, dell’ambiente, della cultura e non solo); i giovani e l’attenzione imprescindibile alla transizione scuola-lavoro; il rapporto con il mercato delle imprese.
Il percorso futuro è dunque chiaro per lo IAL ed è forte la volontà di realizzare nuovi sfidanti obiettivi, forte del lavoro compiuto e dei traguardi sinora raggiunti. E la CISL - sostiene il segretario confederale Piero Ragazzini - non può che ribadire con decisione “l’unicità dello IAL quale strumento dell’organizzazione in materia di formazione” e valorizzarne potenzialità progettuali e offerta formativa nel campo della bilateralità e dei Fondi.
Completata la fase di riorganizzazione e di risanamento, lo IAL - ribadisce il segretario – oggi si conferma essere un tassello importante per le strategie della Cisl, capace di offrire un proprio significativo contributo all’Assemblea organizzativa su due questioni centrali: Europa e territorio. La Cisl, conclude Ragazzini, “intende rafforzare il patto associativo tra confederazione, categorie, territori e servizi. Bisogna mettere in rete i servizi - fra questi lo IAL - che, sul terreno delle politiche europee, avranno potenzialità e spazi di azione enormi”.

21 ottobre. E’ chiaro, dunque, come per lo IAL e per la CISL la scommessa in questo momento si giochi sul terreno dell’Innovazione, da molti paradigmaticamente definita “Industria 4.0”.  Ad imporlo è un mutato contesto sociale, è un mercato del lavoro sempre più “transizionale”, è la rivoluzione digitale che è entrata, seppur a macchia di leopardo, nell’industria italiana, scardinando modalità, tempi e costi dei processi lavorativi.
“Factory of the future. Tecnologia, competenze e fattore umano nella fabbrica del futuro”, studio promosso dallo IAL Nazionale in collaborazione con Fim Piemonte, Istituto Boella e realizzato da Torino Nord Ovest srl impresa sociale, intende offrire una prima risposta a questa sfida: comprendere ed analizzare la portata e l’impatto che ha avuto ed avrà, nel mondo delle imprese e, più estesamente, nel mondo del lavoro, quella che da molti è definita come “rivoluzione digitale”.
La “Fabbrica del futuro” – come racconta Annalisa Magone, AD di Torino Nord Ovest – è il frutto di un viaggio realizzato tra l’estate del 2014 e l’estate del 2015, una sorta di “turismo delle fabbriche”, così lo definisce, in una ventina di grandi stabilimenti manifatturieri italiani dove è in corso una rivoluzione digitale. E’ il primo studio in Italia di questo genere: si tratta di best practices, non di una ricerca definitiva né statistica, il cui intento è stato quello di comprendere come e quanto sia stato recepito il paradigma europeo chiamato industria 4.0 dalla grande industria italiana”. “Abbiamo intervistato - spiega l’AD di Tno - amministratori delegati, direttori di produzione, direttori di risorse umane, per capire il rapporto in queste nuove fabbriche tra l’introduzione di innovazione tecnologica molto avanzata e la riconversione organizzativa del fattore umano”. Uno degli elementi più interessanti emersi dalla ricerca, precisa la Magone, è dato dalla “capacità dell'Italia di introdurre in modo massiccio dispositivi digitali e di modificare completamente il modo di produrre e i prodotti”. Stiamo assistendo ad un radicale capovolgimento della linearità e della sequenza nella costruzione degli oggetti complessi: le fabbriche digitali producono ed analizzano una mole infinita di dati utili per migliorare gli standard produttivi ed è ormai evidente come queste fabbriche infinitamente più intelligenti e performanti rispetto a quelle di 10 anni fa non possano più prescindere dall’utilizzo delle cosiddette “tecnologie abilitanti”.
Se dunque l’automazione è entrata diffusamente nei processi ingegneristici come nelle attività degli operai di linea, sempre meno specializzati in una tecnica e sempre più specialisti di un processo e se per un verso questa stessa automazione sottrae opportunità di lavoro anche su alcune fasce alte, è chiaro come occorra ridefinire completamente l’organizzazione del lavoro, l’apporto del fattore umano ai processi lavorativi e le modalità di funzionamento delle fabbriche digitali.
“Lo IAL - conclude la Magone – ha oggi davanti a sé una opportunità eccezionale: i lavoratori di queste fabbriche, a tutti i livelli, dovranno modificare radicalmente le proprie competenze e lo IAL si candida ad essere un soggetto compente e capace di intercettare il cambiamento che la digitalizzazione porterà nel mondo del lavoro.”
Ciò è ancor più vero in una fase in cui, come sostiene Cesare Murgia, AD Centro Sviluppo Materiali S.p.A. Gruppo RINA e come conferma la crescente attenzione alla produzione incentrata sul fattore umano e l’investimento dell’Europa sul programma “Factory of the future”, il capitale umano rappresenta una componente imprescindibile delle fabbriche digitali e la formazione - intesa anche come trasferimento intergenerazionale - un elemento strategico nei processi di sviluppo.
Come però evidenziato da Murgia ed ampiamente confermato dalla ricerca condotta da Torino Nord Ovest, per poter contribuire fattivamente all’innovazione e al cambiamento aziendale, le nuove professionalità dovranno essere sempre più flessibili e “proattive” e la formazione dovrà essere ri-orientata di volta in volta sulla base delle nuove tendenze e dei nuovi fabbisogni delle imprese. La stessa flessibilità dovrà caratterizzare l’intervento del sindacato nella stipula degli accordi: le dinamiche tecnologiche esigono oramai un’azione sindacale “veloce” ed attenta ai cambiamenti, pena la mancanza di rappresentatività evidenziata da un recente ricerca de “La Stampa” sulla percezione del sindacato, dalla quale è emerso che per il 54% degli intervistati il sindacato non è rappresentativo poiché non è capace di comprendere i cambiamenti.
Un dato che fa pensare e che fa della ricerca promossa dallo IAL “un dono prezioso regalato alla Cisl e alle categorie”, così la definisce il segretario generale della Fim Piemonte Antonio Sansone: essa consente al sindacato di via Po’ di “ri-sindacalizzare il lavoro”. Non è più infatti eludibile, sottolinea Sansone, il tema della partecipazione organizzativa e il sindacato, se vuole essere realmente rappresentativo, deve tornare a stare nei luoghi di lavoro ed essere esso stesso agente di sviluppo, assumendo la partecipazione come strategia per costruire il cambiamento. La strada deve essere quella di costruire un rapporto di rappresentanza che tenga insieme tutele collettive e attenzioni individuali. “Per troppo tempo - aggiunge Sansone - il sindacato ha regalato l’impresa all’imprenditore, dimenticandosi che il capitale umano è altrettanto importante del capitale sociale”.
Il sindacato, dunque, deve avere la capacità di contribuire al sapere relazionale, declinando in modo flessibile l’inquadramento e le competenze dei lavoratori, anche in termini di innovazione e di riproducibilità delle stesse. “Oggi - conclude Sansone - l’innovazione passa attraverso la partecipazione, prima organizzativa e poi strategica, del lavoratore all’interno del processo produttivo e della vita di impresa”.
Mentre il confine tra formazione e innovazione diventa sempre più labile e le competenze sempre più flessibili e trasversali, la formazione - sostiene Raffaele Ieva, Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali - resta elemento centrale per poter consentire la transizione verso i cosiddetti “nuovi lavori”. Ci sono - spiega Ieva - le condizioni per una ‘distruzione creativa’: spariranno alcuni lavori classicamente intesi per evolvere verso nuovi profili professionali, in linea con le tendenze determinate dall’innovazione. All’Amministrazione pubblica competerà il ruolo di indirizzare e premiare il cambiamento nel sistema della formazione, consentendo nel contempo al lavoratore di restare “attivo” nella transizione da un lavoro all’altro e di valorizzare le proprie competenze.
Appare chiaro a questo punto come ci si trovi davanti ad un vero e proprio “cambiamento antropologico”, così lo definisce il sottosegretario al ministero dell’Economia Pier Paolo Baretta. Ad essere mutato è il livello organizzativo, economico, tecnologico, sociale e culturale: siamo di fronte ad una rivoluzione non solo digitale, ma ad un nuovo approccio che - come accadde per il taylorismo e per il fordismo - dalla fabbrica si estende al tessuto sociale, modificandolo profondamente.
Nell’industria e nella “società 4.0” - così la definisce il sottosegretario - lo spazio per la persona nel gioco organizzativo e nel gioco sindacale è enorme: l’esito più importante della fabbrica intelligente sarà di fatto “la partecipazione consapevole dei lavoratori, il che significa una nuova cultura del lavoro ed un nuovo spazio per il sindacato”. Per Baretta la stagione che stiamo vivendo è densa di sfide ed apre un “campo smisurato” per il sindacato, che, per poter ricostruire la rappresentanza, dovrà saper affrontare un salto culturale e puntare ad una contrattazione “flessibile”.
Allo stesso modo della politica, oggi alle prese con il problema di una “democrazia lenta”, il sindacato è chiamato a risolvere la questione non più derogabile della rappresentanza. Questo - conclude Baretta - significa però “tornare nei posti di lavoro, come la politica deve tornare nelle strade. Lì si trova la politica. Lì è il sindacato”.

 

 

 

 

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Lavoro: presentata oggi a Roma ricerca promossa da Ial su "industria 4.0"

 

 

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